Logo Massimo Bocale

Le maschere del Burkina Faso

17 giugno 2015

A cinque, sei ore di macchina da Ouagadougou, o semplicemente Ouaga come viene affettuosamente chiamata la capitale dai suoi abitanti, è ancora possibile incontrare due gruppi etnici che vivono secondo riti e tradizioni direttamente derivanti dalla storia e dalla religione dei propri antenati: i Bobo e i Bobo Oule, noti anche come Bwa. Sebbene questi due popoli parlino lingue proprie e vivano in differenti territori, i primi nella regione di Bobo Diolasso i secondi nella provincia di Boromo, condividono gli stessi culti religiosi e i riti che vengono celebrati sono la trasposizione sacra di un’eredità ancestrale. Periodicamente questi popoli ringraziano gli spiriti organizzando delle “sagre” per purificare la collettività a espellere gli spiriti maligni e le maschere sono le indiscusse protagoniste di questi riti. A Bansié, villaggio Bwa, in un tardo e assolato pomeriggio assistiamo all’uscita delle maschere a foglie che rappresentano Do, lo spirito della natura che agisce da intermediario tra l’uomo e Wuro, il dio creatore di tutte le cose. Con la comparsa di questa maschera, realizzata interamente con paglia e fibre vegetali, si vuole rintrodurre nuovamente l’uomo nella madre natura dalla quale era stato in precedenza respinto per aver coltivato la terra; le danze effettuate da queste maschere servono, inoltre, a propiziare un buon raccolto e prosperità a tutto il villaggio. Per ore e ore le maschere danzano passando tra gli astanti per rimuovere ogni traccia di energia negativa ammassata all’interno della comunità dopo l’ultimo raccolto. Una volta purificati attraverso questa magia liturgica, gli abitanti del villaggio sono pronti per iniziare la semina che avverrà con l’arrivo delle prime piogge.

Il giorno successivo ci rechiamo in un vecchio quartiere di Bobo Diolasso dove, ci dicono, andrà in scena un’altra interessante cerimonia: quella che commemora le anime delle persone defunte nell’anno precedente. Le maschere, circondate da centinaia di spettatori con la pelle imperlata di sudore, affrontano le anime smarrite in una sequenza di danze rituali per scortarle verso la segreta dimora degli spiriti. Accompagnate dall’incessante suono ritmico dei tamburi e dei corni, volontariamente suonati per scuotere le anime, le maschere turbinano vorticosamente in un susseguirsi di salti, avvitamenti e piroette prestabilite che sono per noi di difficile interpretazione. A volte slegano la testa della maschera e la fanno roteare vorticosamente e autonomamente dal corpo e percuotono il suolo con i piedi, sollevando nuvole di polvere. A questo punto l’eccitazione dei presenti è al massimo. Il caldo opprimente (oltre 42 °C all’ombra), la polvere che spesso opacizza ogni cosa, il suono ossessivo e assordante dei tamburi e l’intera scenografia mettono a nuda prova la nostra resistenza psicofisica. Restiamo, inoltre, sorpresi come questo ondeggiare ritmico scuota gli inquieti spettatori i quali devono anche fare attenzione a non essere travolti dall’eccessiva irruenza che le maschere sprigionano durante l’animata esibizione.

Dopo aver trascorso quattro giorni in giro per il territorio Lobi del Burkina sud occidentale, ritorniamo nella regione del popolo Bwa dove, nel villaggio di Boni, assistiamo alle danze delle maschere di legno piatte, tinte in tre differenti colori simili ad alti gonfaloni, organizzate sempre per propiziarsi un buon raccolto. Raggiungiamo il luogo della cerimonia che anche qui è la piccola e polverosa piazza del paese. Il tipico suono dei tamburi e del balafon, uno strumento di bambù e calebasse che fungono da cassa di risonanza, tipico dell’Africa Occidentale annuncia l’arrivo delle maschere che anche in questo caso agiscono come rappresentanti dell’uomo presso Do. La maschera vera e propria viene realizzata in legno a forma di animale e decorata con disegni geometrici di tre colori, mentre il corpo viene creato con fibre naturali. Ogni colore impresso in queste maschere piatte esprime un simbolismo: il bianco rappresenta la luce o il giorno, il nero simboleggia la notte, mentre il rosso associato al sangue indica la forza vitale. Nel lungo pomeriggio di festa vediamo sfilare e danzare in modo ossessivo vari tipi di maschere come la “N’sinb”, la maschera bufalo; la “N’nan gui”, quella serpente; la “Kaan”, la maschera antilope; il “Kele Kwe”, il pitone; e per finire la “Kuma”, o maschera bucorvo con il caratteristico becco ricurvo, il camaleonte, la civetta e la farfalla. Quando i danzatori si riposano dal caldo e dalla fatica, vengono assistiti dai cerimonieri che provvedono a sostenerli e a dissetarli con acqua o birra di miglio.

Solo al calar del sole lasciamo la festa con la testa frastornata e pieni di dubbi.