Logo Massimo Bocale

Cambogia - I campi di concentramento dei khmer rossi, eretti negli anni 1975 / 1979.

24 luglio 2018

Il primo campo di sterminio che visitiamo è quello di Choeung Ek a soli 15 chilometri dalla capitale Phnom Penh. Ad oggi, in questo ex frutteto, sono state rinvenute dopo la caduta del regime dei Khmer rossi 86 fosse comuni contenete 8.985 corpi, ma altre 43 tombe attendono di essere portate alla luce. Lo stupa buddista, eretto in memoria delle vittime, contiene teschi e ossa umane rinvenute in queste fosse comuni: notiamo in questa macabra esposizione che alcuni teschi sono sfondati, segno di una morte violenta. A Choeung Ek ci rechiamo a onorare l’albero (meta giornaliera di pellegrinaggio) diventato tristemente famoso: qui infatti i khmer rossi uccidevano i bambini con una cattiveria inaudita davanti alle loro mamme sbattendoli violentemente più volte contro il tronco finché non sopraggiungeva la morte.

In un’altra occasione visitiamo le grotte di Phnom Sampeau che si trovano a circa 11 Km da Battambang, città nel nord ovest del Paese, diventate anche esse tristemente celebri. In questo luogo le vittime venivano prima bastonate a morte e poi gettate nelle numerose grotte carsiche sottostanti. Nella grotta principale sono stati eretti un memoriale contenente teschi e ossa umane e un grande Buddha sdraiato.

Il campo di sterminio di Toul Sieng di Phnom Penh era prima dell’arrivo dei Khmer rossi, l’istituto scolastico Chao Ponhea Yat. In questo centro di sterminio i Khmer uccisero circa 20.000 persone, tra uomini, donne e bambini. Visitiamo le celle dalle ridotte dimensioni (1,20 m per 2,00 m) ricavate nelle aule scolastiche: qui i detenuti venivano incatenati alle pareti o al pavimento. I prigionieri legati collettivamente dominavano con la testa in direzione opposta sul nudo pavimento senza coperte e zanzariere. Nei letti di tortura ai prigionieri venivano legati i piedi con barre di ferro e catene. Visitiamo il piccolo museo dove sono esposte numerose fotografie delle torture inflitte ai condannati a morte e gli armadi pieni di ossa umane. Al museo del genocidio incontriamo il Sig. Chum Mey, il primo a sinistra nella foto scattata dopo la liberazione. Questo simpatico Signore è uno dei sette sopravvissuti in questo campo di sterminio: si salvò solo perché era un ottimo meccanico di auto e camion. Nel 2012 pubblica “il sopravissuto”, un libro nel quale racconta la sua avventura nel campo di concentramento e la tragica fine della moglie e del figlio. Il Sig. Chum Mey ci racconta che in questo campo vigeva un regolamento ferreo e ai prigionieri disobbedienti venivano inflitti pesanti pestaggi e a volte costretti, per punizione, a mangiare feci e bere urina umana. I prigionieri non potevano parlare fra loro e nessuno potere bere acqua senza chiedere il consenso delle guardie rosse.