Alla corte dell’Asantehene, il re degli ashanti. Palazzo reale di Kumasi - Ghana
3 marzo 2014
Un giorno alla corte dell’Asantehene, il re degli ashanti.
Nobili e dignitari, sudditi e invitati stranieri vengono ricevuti da Otumfuo Osei Tutu II, l’Asantehene, in occasione della fastosa cerimonia dell’Akwasidae che si svolge nel cortile del Palazzo Reale di Kumasi (Ghana).
Il calendario degli ashanti, gruppo etnico di lingua akan, è formato da nove periodi di quaranta giorni e all’inizio di ogni nuovo ciclo si festeggia l’Akwasidae, momento in cui il popolo comunica con gli spiriti degli antenati. In questa giornata di assoluto riposo il re, padrone della terra dove vivono le anime dei defunti, accompagnato dai suoi dignitari di corte si reca in gran segreto nel luogo in cui si conservano gli Scranni Sacri (particolari sgabelli posseduti da ogni persona di alto rango) per donare acqua, alcol e cibo agli spiriti degli antenati. Lo scranno rappresenta nella mitologia ashanti la dimora degli antenati defunti i quali vegliano sui vivi e li proteggono nel bisogno oppure li puniscono se questi non rispettano le tradizioni della tribù. Per questo motivo essi sono profondamente devoti agli spiriti degli antenati scomparsi. L’Akwasidae è un rito ambiguo poiché si fonda sul timore che gli spiriti non osannati a dovere possano diventare nemici ed esercitare di conseguenza i loro nefasti poteri colpendo la popolazione ma al tempo stesso è una gioiosa festa che celebra il loro ciclico arrivo nel mondo terreno dei vivi. E’ opinione talmente diffusa che la morte sia solo un passaggio a un modo di esistere differente dell’attuale, che la concezione di fine per gli ashanti non esiste, anzi, essi credono che lo spirito del defunto continui a vivere nel proprio corpo anche se questo non è più visibile. I popoli akan credono inoltre che anche l’oro, metallo riservato alle persone nobili, abbia uno spirito e una vita propria.
Già nel settecento i primi commercianti arabi esaltarono nei loro racconti i favolosi ornamenti d’oro che coprivano letteralmente gli uomini e il fasto della corte del re ashanti era conosciuto in tutta l’Africa sub-sahariana. La magnificenza e l’opulenza osservata alla corte del re all’inizio del XIX secolo fecero rimanere di stucco anche i primi visitatori bianchi che ci lasciarono testimonianze scritte e disegni mozzafiato. Questi resoconti di viaggio non dicono però se i primi viaggiatori europei si resero conto che per le tribù akan l’oro non rappresentava la ricchezza, ma, bensì un tramite per avvicinarsi ai suoi numi protettori.
Oggi alla fastosa cerimonia dell’Akwasidae partecipano anche gli invitati stranieri che vengono scelti con cura dal capo di protocollo. Gli elementi che caratterizzano l’Akwasidae sono: le relazioni con il mondo degli spiriti, le esibizioni, le esaltazioni, i doni.
Entrati nel cortile dove si svolge la cerimonia, ci fanno accomodare sotto il tendone riservato agli ospiti unitamente a una folla vestita a festa; le fogge degli abiti degli invitati locali sono quelle della tradizione, dagli ornamenti in oro, ai sandali di cuoio decorato con placchette di legno dorato, alla consueta veste formata da un lungo drappo, grande quanto un lenzuolo, portato come fosse una tunica romana. La lingua parlata è quella dei padri.
Un rullo di tamburi richiama la nostra attenzione: la cerimonia ha inizio. A questo punto l’atmosfera si carica di una vivacità e di un ardore a stento trattenuta dai presenti. In quest’occasione l’Asantehene indossa il kenté, la tunica da cerimonia e simbolo di prestigio nel quale predominano il giallo e il rosso che rappresentano simbolicamente la vita eterna e la prosperità. Conosciuto con il nome di “tessuto che si addice al re”, il kenté è un emblema di autorevolezza e suscita riverenza in coloro che ne riconoscono la funzione simbolica. L’arrivo del re, adornato con i contrassegni regali in oro, viene annunciato dal suono delle noks, le trombe ricavate dalle zanne d’elefante. Questa nenia ipnotica termina non appena il corteo entra nella sala delle udienze. Il re circondato da vari servitori avanza adagio all’ombra di un enorme ombrello parasole di velluto damascato dai vivaci colori che rappresenta simbolicamente la garanzia e la sicurezza per il suo popolo. Alcuni servitori sventolano enormi ventagli di piume di struzzo, un altro sorregge il trono di legno inciso e arricchito con inserti d’oro. Alcuni notabili indossano particolari copri capi di pelle, intagliati sui bordi e divisi in settori, rivestiti con lamine d’oro e abbelliti con ornamenti simbolici come stelle, mezzelune e figure di animali.
Qui tutto è passione, esaltazione. I sudditi credono che partecipare alla cerimonia renda possibile la comunicazione con gli spiriti degli antenati. La devozione è assoluta. Per noi, invece, è tutto un groviglio di visioni e di emozioni.
Durante questo lento procedere il sovrano è attorniato ai lati dai suoi dignitari ognuno con un compito diverso. Quelli che agitano le spade con l’elsa di legno ricoperta di lamine d’oro hanno il compito di allontanare il male, quelli che impugnano vecchi fucili ad avancarica con gli inserti dorati hanno il compito di vegliare sulla sua incolumità mentre quelli che mostrano enormi mazzi di chiavi indicano simbolicamente al popolo che le porte del palazzo reale sono chiuse e che, anche in assenza del re, esso è al sicuro da intrusi. Nell’osservare questa “processione” ci rendiamo conto che l’Akwasidae è un rito pregno di significati. All’interno della sala reale l’Asantehene seduto in pampa magna ammira i suoi sudditi e gli stranieri ammessi. Accanto al re siedono alcuni ministri, i nobili, i famigliari e i portavoce e ognuno di loro impugna un bastone dorato con i simboli regali che sono l’emblema della loro funzione. Alle sue spalle si sistemano le figlie con l’incarico di scacciare gli spiriti cattivi con dei piumini realizzati con code di cavallo.
Le prime persone autorizzate all’udienza sono le donne che hanno un posto rilevante in questa società matrilineare, seguono gli uomini e infine gli invitati; tutti però devono rivolgersi al re attraverso l’intermediario, così dice il protocollo. Il re ha caratteristiche quasi divine ed è così vicino agli spiriti degli antenati che solo i portavoce possono conferire con lui durante le ricorrenze religiose. Ognuno porta un’offerta: c’è chi dona una bottiglia di gin o di whisky, chi una capra o una gallina, chi un sacco di manioca o di patate, chi un pacchetto di sigarette o altro ancora. E’ una corsa a offrire un oggetto importante o utile oppure del buon cibo per manifestare lo sforzo della donazione, la più alta possibile.
Terminate le udienze, il re rientra nella stanza degli Scranni Sacri e alla presenza di pochi intimi e degli officianti del rito consegna alcune offerte ricevute dagli ospiti agli spiriti degli Asantehene, dei nobili e dei dignitari defunti per ingraziarseli.
E’ così che il rapporto tra il mondo visibile e quello invisibile continua ad agire, ognuno vigorosamente sull’altro, nel rispetto dei dettami delle antiche tradizioni che ancora oggi vengono scrupolosamente osservate e custodite. I tamburi e le noks non suonano più. La cerimonia è finita; i sudditi rientrano nelle loro case sotto la protezione dei benedetti spiriti tutelari.
“Sapete chi tira i fili di tutto?” ci chiese il capo di protocollo salutandoci; e non ricevendo risposta terminò: “Gli spiriti degli antenati”. A questo punto unitamente alla festosa folla sgranata ci avviamo di buon passo sulla via del ritorno.